Il residuo della supernova del 1572 ripreso dal satellite della NASA WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer – foto cortesia NASA/JPL-Caltech/UCLA)

SN 1572. Ai più, forse a tutti, questa sigla dirà poco o niente, ma si tratta di una delle (sole) 8 supernovae registrate nella nostra galassia da quando gli astronomi di tutto il mondo e di tutte le epoche prendono nota di questi eventi. Come la sigla ricorda, è una supernova (SN) apparsa nella costellazione di Cassiopea proprio l’11 novembre del 1572, quasi 450 anni fa, astro che fu largamente studiato e descritto dal famoso astronomo Tycho Brahe nella sua opera “De nova et nullius aevi memoria prius visa stella“, un titolone latino per definire una stella nuova e mai vista prima nella vita o nella memoria di nessuno. Si valuta che la stella raggiunse pressappoco una magnitudine di -4, cioè più brillante di quanto brilli Giove queste sere nei nostri cieli e sicuramente più luminosa del più brillante pianeta Venere, e rimase visibile fino al marzo del 1574, oltre 16 mesi dopo la sua apparizione. Per un certo periodo è stata chiaramente visibile anche di giorno!

E’ classificata come supernova di tipo Ia, il che consente di calcolare in maniera molto precisa la sua distanza. Infatti, la luminosità assoluta di queste particolari supernovae è sempre la stessa, per cui è possibile calcolare la magnitudine apparente, che in ultima analisi dipende quasi esclusivamente dalla distanza dell’oggetto. Dal calcolo risulta che il resto di supernova in foto dista da noi tra gli 8000 e i 10000 anni luce.

La sua controparte nelle onde radio fu individuata negli anni ’50 utilizzando due radiotelescopi, quello di Jodrell Bank e quello di Cambridge, mentre negli anni ’60 l’osservatorio di Monte Palomar individuò la controparte ottica, una debole nebulosa che ancora si sta espandendo a velocità comprese tra i 5000 e i 9000 km/s.

L’immagine a corredo del post, quel piccolo cerchio rosso in alto a sinistra fotografato dal Wide-field Infrared Survey Explorer (WISE) della NASA, copre un’area pari a circa 3 volte l’ampiezza della luna piena; i colori blu e il ciano rappresentano la radiazione infrarossa emessa dalle stelle, mentre il rosso mostra la radiazione infrarossa dovuta principalmente alla polvere riscaldata dall’onda d’urto dell’esplosione, che si può chiaramente vedere nel breve video in alto.

L’espansione del residuo della supernova di Tycho dal 2000 al 2015 (cortesia NASA/CXC/GSFC/B.Williams et al., 05/12/2016)

Ritratto di Tycho Brahe inciso da Jacques de Gheyn II

Ma questa supernova è interessante anche dal punto di vista umanistico: da un lavoro di alcuni ricercatori della Southwest State University del Texas pare proprio che questa supernova sia citata nell’Amleto di Shakespeare, ed in particolare da Bernardo (Atto I, Scena I). Il dialogo tra i soldati Marcello, Orazio e appunto Bernardo nella prima scena dell’opera – che si ritiene sia stato scritto nel 1600 – descrive infatti una stella luminosa e la sua posizione nel cielo in una gelida notte:

“Proprio ieri notte, la stella laggiù che viaggia a ponente del polo era andata ad accendere la parte del cielo dove ora brucia…”

Molto probabilmente Shakespeare conosceva il lavoro di Brahe sulla supernova. Infatti, l’ambientazione dell’Amleto, il castello di Elsinore, è vicinissima al sito da cui Brahe effettuava le sue osservazioni, un’isoletta nella parte danese dello stretto di Oresund.

E un’altra particolare coincidenza è il fatto che un ritratto piuttosto famoso dell’astronomo, inciso nel 1590 dall’artista Jacques de Gheyn II e riprodotto qui di lato, riporti gli stemmi delle famiglie Rosenkrans e Guldensteren (evidenziati in giallo). Ebbene, due personaggi della stessa opera di William Shakespeare sono chiamati Rosencrantz e Guildenstern!

Il che – se permettete la divagazione – mi ricorda un po’ come la Rowling soleva prendere ispirazione per i nomi dei personaggi del suo Harry Potter, ovvero visitando le tombe del cimitero di Greyfriars Kirkyard ad Edimburgo. Il piccolo cimitero è famoso anche per tantissime altre storie, tra cui quella del piccolo skye terrier Greyfriars Bobby, la cui statua è poco fuori il camposanto, che si narra abbia atteso il padrone sulla sua tomba nel cimitero per ben 14 anni, prima di essere seppellito anch’egli lì, proprio di fianco al suo amato padrone…

Non solo, ma in questo cimitero fu firmato il National Covenant (1638), il documento che King Charles I interpretò come complotto ai suoi danni e che portò alle due guerre dei Vescovi ed alle tre guerre civili inglesi tra Scozia e Irlanda da un lato e Inghilterra dall’altro.
I “Covenanters” furono sconfitti nella battaglia di Bothwell Bridge (1679, narrata in Old Mortality di Sir Walter Scott), e gli scozzesi persero ancora, e ancora, e ancora, fino alla catastrofica battaglia di Culloden, presso Inverness (1746), l’ultima battaglia campale nella storia della Scozia, che chiuse tragicamente e definitivamente ogni velleità di indipendenza scozzese…

Tra i firmatari del National Covenant c’era anche sir George MacKenzie, detto “Bloody MacKenzie” perché pare avesse ucciso migliaia di persone (pare circa 18.000) in quella breve parentesi della storia scozzese nota come “the killing time“. Imprigionato nel cimitero, lì fu ucciso e da allora, secondo gli abitanti di Edimburgo, vaga come fantasma.

La statua di Greyfiars Bobby all'ingresso del cimitero di Greyfiars Kirkyard ad Edimburgo

La statua di Greyfiars Bobby all’ingresso del cimitero di Greyfiars Kirkyard ad Edimburgo. La foto, opera dell’autore, è stata per una fortunata coincidenza il 27 febbraio 2020, quasi precisamente 382 anni dopo la firma del National Covenant (28 febbraio 1638).

Astronomia, letteratura, storia… Ecco come l’esplosione di una piccola stella può “accendere” altri infiniti mondi, invitandoci a navigare con la fantasia nello spazio e nel tempo…