Elaborazione artistica di Giove e della sua luna Europa. Le immagini ultraviolette, che mostrano i pennacchi di vapore acqueo rilevati dal telescopio spaziale Hubble nella regione polare meridionale di Europa, sono state sovraimpresse su un’immagine reale (fonte: NASA/ESA, M. Kornmesser, L. Roth, J. Saur)
La presenza di un oceano di acqua liquida e salata al di sotto dei ghiacci di Europa, uno dei satelliti medicei che orbitano attorno a Giove, è oramai molto più di un’ipotesi. In un lavoro presentato al meeting annuale della Divisione di Scienze planetarie a Monterey, California, il 2 settembre 2003, Robert Pappalardo, del Dipartimento di Scienze astrofisiche e planetarie dell’Università del Colorado, e Amy Barr, sua dottoranda, hanno discusso un modello relativo alla formazione di particolari strutture dette domi sulla superficie ghiacciata di Europa in cui proprio la presenza di un oceano sotterraneo svolge un ruolo di primo piano.
I domi di Europa sono essenzialmente rilievi superficiali che possono raggiungere un diametro di circa 5-10 km, un’altezza di circa 100 m e che si osservano spesso in gruppi. Una prima ipotesi sulla loro formazione sosteneva che i domi fossero formati da zone di ghiaccio spinte verso l’alto dalla risalita di materiale più caldo dalle profondità dell’oceano. La vicinanza a Giove e l’eccentricità dell’orbita, infatti, fanno sì che l’attrito prodotto dalle maree gioviane sulle masse solide e liquide dell’interno del satellite scaldi queste ultime portando alla formazione di bolle di liquido più calde che, salendo verso l’alto, spingono la crosta dando origine alle strutture osservate in superficie.
Il problema principale di questa ipotesi è che non spiega come la pressione esercitata da questa risalita possa essere sufficiente a deformare uno strato di ghiaccio dello spessore di circa 15-20 km e dare luogo ai domi in superficie. Pappalardo e Barr, nel loro lavoro, sostengono che impurità quali il cloruro di sodio (il comune sale da cucina), e l’acido solforico potrebbero giocare un ruolo fondamentale nella formazione dei domi, permettendo al ghiaccio più caldo di forzare con maggiore facilità le zone più salate della crosta ghiacciata e originare quindi tali strutture. E’ esperienza comune, infatti, che l’acqua mista a sale congela a temperature più basse e i calcoli effettuati dai due ricercatori americani mostrano che sarebbe sufficiente che nel ghiaccio fosse presente il sale in una percentuale pari a circa il 2% in volume per spiegare la maggiore “malleabilità” della crosta superficiale e quindi le strutture osservate.
Immagini riprese dalla sonda Galileo nel visuale e nell’infrarosso sembrano convalidare tale ipotesi, mostrando che spesso i ghiacci inglobano impurità. Alcuni dei modelli più plausibili dell’interno di Europa, indicano che appena 2-4 km sotto la superficie le condizioni sembrerebbero favorevoli allo sviluppo di forme di vita chemioautotrofe, in grado cioè di ricavare l’energia necessaria al proprio sostentamento non dalla fotosintesi, ma dall’utilizzo di sostanze inorganiche e organiche.
I ghiacci delle regioni di Thera (a sinistra) e Thrace (a destra), sul satellite gioviano Europa, hanno colori significativamente diversi da quelli dell’ambiente circostante, il che è forse indice di qualche contaminazione chimica. Mentre Thera si trova al di sotto del livello medio della superficie circostante, la struttura di Thrace è leggermente più elevata. Là dove il ghiaccio è più ricco di sali, secondo gli autori, sarebbe più facile la formazione di domi. Immagine della sonda Galileo, 26 settembre 1998 (fonte: NASA).
Sulla Terra esistono diversi tipi di batteri che occupano nicchie biologiche estreme, come alcuni microrganismi rinvenuti in Antartide intrappolati in bolle d’acqua a qualche metro di profondità sotto i ghiacci, oppure intere colonie di batteri che proliferano attorno a granelli di polvere. Questi, essendo più scuri dell’ambiente circostante e perciò più caldi quando riscaldati dal Sole, sprofondano nel ghiaccio fondendo un leggero strato d’acqua. Questi batteri, inoltre, sono in grado di produrre una specie di “antigelo” che mantiene liquido lo strato d’acqua per qualche giorno oltre quanto permesso dalle condizioni ambientali, riuscendo a proliferare. Altri altri microrganismi del genere Deinococcus sono metabolicamente attivi anche a temperature molto basse e hanno mostrato un completo adattamento al buio e alla più intensa radiazione ultravioletta che investe il continente antartico.
Ricerche come quella qui discussa potrebbero portare alla progettazione di sonde in grado di riconoscere tali impurità e di analizzare proprio le zone in cui queste sono maggiormente presenti, visto che potrebbero essere il segno evidente di materiale, anche biologico, trasportato in superficie dalle profondità più calde del satellite.
(Piter Cardone – Pubblicato su “Le Stelle”, n. 12, novembre 2003, pag. 16)