Questa mosaico è composto da immagini 2MASS (2 Micron All Sky Survey) nella banda J (blu) e Ks (verde), e da immagini riprese dallo Spatial Infrared Imaging Telescope (SPIRIT III) durante la missione MSX (Midcourse Space Experiment) nella banda A (6 – 11 μm; rosso). La regione ripresa è quella nei pressi del centro galattico: il piano galattico è la densa banda orizzontale che attraversa la foto, mentre il centro galattico è l’oggetto luminoso in giallo vicino al centro. Il mosaico combinato delle immagini 2MASS e 2MASS-MSX si deve a E. Kopan (IPAC). Il campo inquadrato misura circa 2° in latitudine e 5° in longitudine, centrati sulla sorgente Sagittarius A.

Ci è capitato spesso, durante le serate MiticheStelle, che qualcuno dal pubblico chiedesse come potrebbe essere vivere vicino ad un buco nero. C’è poco da fare, i buchi neri restano gli oggetti esotici che più attraggono l’interesse e l’attenzione del pubblico… oltre a qualunque altra cosa gli orbiti intorno…
La domanda ha una risposta molto semplice: non si può vivere vicino ad un buco nero. Ma per quanto apparentemente banale, essa ha delle implicazioni e dei distinguo di non facile analisi. Innanzitutto: perché non si può vivere nei pressi di un buco nero? E a quale distanza da questo ci si può considerare al sicuro?

LA RICERCA

Un team di scienziati ha recentemente provato a rispondere a queste domande considerando un caso limite, ovvero il buco nero supermassiccio che prende posto al centro della nostra Galassia, il buco nero chiamato Sagittarius A (SgrA*). Non solo, ma ha considerato una specifica fase della sua vita, quella in cui era particolarmente attivo. Durante il culmine della fase di accrescimento, infatti, i buchi neri supermassicci al centro delle galassie emettono elevatissimi livelli di raggi X e radiazioni ultraviolette estreme (XUV), che li rendono visibili come Nuclei Galattici Attivi (AGN) o, con il loro “nomignolo” sicuramente più conosciuto, quasar.
Queste emissioni altamente energetiche incidono in diversi modi, e profondamente, sui pianeti e sulle loro atmosfere, in primis letteralmente sradicandole dal pianeta mediante un fenomeno noto come fuga idrodinamica, e poi bombardando la superficie del pianeta con radiazioni letali, causando un danno biologico notevole o addirittura l’estinzione delle forme di vita eventualmente presenti.

Sagittarius A

Confrontando la distribuzione statistica dei nuclei galattici attivi rispetto alla loro luminosità ed al redshift cosmologico (ovvero la loro distanza da noi), si può supporre che anche l’AGN al centro della Via Lattea abbia subito un picco di grande attività, picco che deve aver avuto luogo all’incirca 8 miliardi di anni fa e che deve essere durato un periodo di tempo compreso tra i 10 milioni ed il miliardo di anni.
Inoltre, informazione importante per le conclusioni della ricerca, il buco nero supermassiccio è circondato da un toro di materia (il toro è il nome geometrico di una superficie a forma di ciambella) che gli orbita intorno, toro che rende più o meno visibile il buco nero a seconda della direzione da cui lo si guarda. Per semplicità, immaginate di cingere una lampada con un salvagente per il mare. Ovviamente, se guardate attraverso il salvagente la lampada, vedrete attenuata la sua luce, mentre se vi alzate o vi abbassate in modo da superare l’ostacolo e vedere direttamente la lampada, questa vi apparirà al massimo della sua luminosità.

La posizione di Sagittarius A nella nostra Via Lattea

La posizione di Sagittarius A nella Via Lattea.

La quantità di atmosfera che può essere persa da un pianeta vicino ad un nucleo galattico attivo come Sagittarius A

Porre questa “attenuazione” in una equazione è operazione abbastanza facile. Se poniamo che p è la profondità ottica (l’attenuazione, appunto), essa sarà massima e pari a 1 nella regione più densa del toro, ovvero quella sul piano galattico (latitudine = 0), mentre sarà pari a 0 – completamente trasparente – a latitudini più alte

Altro parametro da considerare nell’equazione è l’efficienza ε della fuga idrodinamica, ovvero quanta parte della radiazione incidente altamente energetica è effettivamente causa della perdita di atmosfera.

Gli scienziati hanno elaborato due modelli, uno considerando un’efficienza del 10% ed uno un’efficienza del 60%, stimando quanta massa atmosferica può perdere un pianeta delle dimensioni e della densità apparente della Terra a varie distanze da Sagittarius A. Hanno poi integrato i dati con l’attenuazione di cui abbiamo parlato prima, ottenendo i due grafici nella figura a fianco, in cui si evince la massa atmosferica persa da un pianeta di grandezza e densità simili alla Terra a varie distanze dal nucleo galattico attivo Sagittarius A e a varie “altezze” sul piano galattico. Nel caso peggiore, il pianeta può arrivare a perdere in mezzo miliardo di anni tutta la sua atmosfera a distanze fino ad un kpc (kiloparsec, poco più di 3300 anni luce) dal centro della Galassia.

 
 

L = LEdd, τ = 0

L = 10% LEdd, τ = 0

L = 1% LEdd, τ = 0

L = LEdd, τ = 1

L = 10% LEdd, τ = 1

L = 1% LEdd, τ = 1

“Vita complessa”

13,3

4,20

1,33

8,08

2,55

0,81

Procarioti

1,33

0,42

0,13

0,81

0,25

0,08

Tabella
Distanze (in kpc) dal centro galattico in cui si avrebbe il maggior danno biologico su una superficie planetaria completamente esposta durante la fase AGN di Sagittarius A. La prima colonna è la distanza che sarebbe letale per gli eucarioti e le forme di vita multicellulare (“vita complessa”), la seconda colonna è relativa ai procarioti. I valori sono espressi per diverse combinazioni di “luminosità” del buco nero supermassiccio e di attenuazione τ dovuta al toro di materia orbitante attorno al nucleo galattico attivo. Come si vede, nei casi peggiori lo sviluppo di forme di vita potrebbe risultare seriamente compromesso per distanze ben maggiori di quella del nostro Sole dal centro galattico (7,6 kpc).

Gli effetti sulle forme biologiche

Ma come arrivare a determinare i danni biologici sulle forme di vita su un pianeta ipoteticamente investito da radiazioni ultraviolette estreme emesse da un nucleo galattico attivo? Qui gli studiosi hanno fatto delle ipotesi, partendo dai dati relativi a valori letali di radiazioni presenti in letteratura, in cui si definisce letale una dose assorbita di 10.000 erg per grammo (unità di misura nota come Gray, Gy).
Bisogna anche fare alcune considerazioni. Ad esempio, il danno è minore se tale quantità viene assorbita in un tempo abbastanza lungo invece che in un breve lasso di tempo. E’ possibile, inoltre, che ipotetici organismi viventi evolvano meccanismi di difesa più o meno efficienti dei procarioti terrestri come il Deinococcus radiodurans, il procariote terrestre maggiormente resistente alle radiazioni, che può resistere a dosi pari a 10.000 Gy.
Non essendo quindi possibile ricavare un dato universalmente valido, gli scienziati si sono limitati a valutare il danno per la vita come la conosciamo. Per calcolare a quale distanza le radiazioni emesse da Sagittarius A sarebbero state letali, hanno dunque ipotizzato flussi critici pari a 0.016 erg al secondo per centimetro quadrato per gli eucarioti e 1,6 erg al secondo per centimetro quadrato per i procarioti, in linea, appunto, con quanto presente in letteratura medica. Ebbene, con questi ragionevoli valori di partenza, si evince che lo sviluppo di forme di vita complesse – i procarioti possono resistere a dosi più alte – è pesantemente inibito anche a grandi distanze dal centro galattico, fino anche a 10 kpc (il Sistema solare dista dal centro galattico all’incirca 7,6 kpc!).

Questi risultati aprono una discussione sulla zona galattica abitabile (GHZ) come definita dall’astrofisico G. Gonzales negli anni dal 1995 al 2004. Stare troppo vicini ad un mostro del genere, soprattutto se attivo, non fa tanto bene alla vita come la conosciamo…