Il disco d’oro (Golden Record), lato A e lato B, a bordo delle sonde Voyager (fonte: NASA)

Alcuni giorni fa ricorreva il 44esimo anniversario del lancio della Voyager 2 (e tra qualche giorno, precisamente il 5 settembre, quello della Voyager 1), a dispetto del numero la prima delle due sonde gemelle a lasciare la Terra verso il sistema solare esterno ed oltre. Le Voyager 1 e 2, dopo essere uscite da alcuni anni dalla sfera di influenza della stella Sole, sono ora prossime alla fine della loro missione scientifica poiché tra qualche anno (intorno al 2030) le loro “batterie nucleari” si esauriranno, rendendole incapaci di registrare alcunché e di comunicare con noi. Di fatto, si spegneranno e continueranno il loro lungo viaggio nel gelido cosmo nel più assoluto silenzio.

Ma anche quando ciò avverrà, la missione Voyager non potrà dirsi conclusa. Le due sonde (e le due Pioneer prima di esse, la 10 lanciata nel 1972 e la 11 nel 1973) portano saldamente ancorato al loro telaio un disco d’oro (per la verità è placcato…) che è un messaggio per una eventuale civiltà aliena intelligente che dovesse intercettare le sonde. Il messaggio, in sintesi, dice:

Salve!
X anni fa (dove X è un numero facilmente determinabile e dipendente ovviamente da quando una delle sonde sarà eventualmente recuperata) i “genitori” di questa navicella spaziale, che vivono sul terzo pianeta orbitante intorno ad un’anonima stellina insieme a flora e fauna altamente variegata ed in un guazzabuglio di lingue, l’hanno lanciata verso lo spazio in attesa che fosse recuperata e questo suo disco fosse ascoltato…

Ma come è possibile che una civiltà extraterrestre di cui non sappiamo assolutamente nulla sia in grado di decifrare un messaggio scritto su un disco d’oro da un’altra civiltà con lingua, cultura e con ottima probabilità anche anatomia completamente differenti? Per quanto ne sappiamo, chi la recupererà potrebbe non avere occhi o orecchie che funzionino come i nostri, in grado cioè di percepire certe lunghezze d’onda o certe frequenze, o mani che con difficoltà possono armeggiare con manufatti pensati e costruiti per le nostre “mani”, appunto?. E allora perché siamo quasi certi che l’operazione di decodifica del disco sia alla portata di qualsiasi civiltà tecnologica in grado di fare viaggi anche brevi nei dintorni del loro pianeta (un po’ come noi con la Luna) ed eventualmente recuperare una sonda di passaggio?

Una delle sonde Voyager e la posizione del disco d'oro sul suo telaio

La Voyager e la posizione del disco d’oro sul suo telaio (fonte: NASA)

IL FATTORE TEMPO

Innanzitutto, come molti sanno, per ascoltare un disco fonografico (perché di questo si tratta) c’è bisogno di una puntina collegata a degli amplificatori, e quest’ultimo a delle casse. E fin qui nessun problema, la puntina gliel’abbiamo fornita nella confezione :-), ed in merito all’amplificatore ed un paio di casse, nessuno pensa che sia un problema per una civiltà in grado di “acchiappare al volo” una sonda che viaggia a 55.000 km l’ora. Ma per ascoltare il disco, c’è bisogno anche che questo giri, e deve girare ad una velocità ben definita. Noi umani ci accorgiamo subito se una canzone o un saluto sono “a tempo”, semplicemente perché li “conosciamo”. Ma un alieno che riesca ad ascoltare il disco, poniamo ad una velocità molto bassa, potrebbe pensare che quel lunghissimo “ccccccciiiiiiiiiiaaaaaaaaaaooooooo” sia effettivamente il modo con cui comunichiamo… un modo anche abbastanza noioso…

L'unità di tempo incisa nel disco d'oro delle Voyager e nella placca delle Pioneer

L’unità di tempo incisa nel disco d’oro delle Voyager e nella placca delle Pioneer

Niente, il disco “deve” girare alla giusta velocità, e per fare questo bisogna fornire un’unità di tempo. “Il secondo”, dirà qualcuno; “il minuto”, qualcun altro. Troppo semplice… e purtroppo anche troppo sbagliato. Minuti e secondi sono espressioni della nostra cultura e dipendono dal modo con cui abbiamo anticamente deciso di dividere il tempo, basandoci cioè sul calendario lunare.
Ora, è difficile pensare che questa ipotetica civiltà misuri il tempo come noi, per cui va fornito uno standard che siano in grado di comprendere. Ebbene, questi due cerchietti che vedete incisi sul disco con le freccette in alto e in basso sono lo standard. Ma cosa rappresentano? Si tratta della cosiddetta transizione iperfine dell’atomo di idrogeno, che consiste nell’improvviso passaggio di un atomo di idrogeno dalla configurazione che vede il protone e l’elettrone che lo costituiscono avere gli spin concordi (la rotazione è orientata con lo stesso verso) a quella in cui gli spin sono in versi opposti.

“Cioè, ci stai dicendo che non capirebbero minuti e secondi ma capirebbero la transizione iperfine dell’idrogeno?”, si chiederà qualcuno leggendo queste righe.

Assolutamente sì, rispondo, poiché l’idrogeno è in assoluto l’elemento più abbondante dell’universo (pare che ne costituisca il 75% in peso) e perché una civiltà che si trovi anche all’inizio del cammino dell’esplorazione del cosmo non può non può non avere basi di chimica e di fisica quantistica, e dunque non può non conoscere la struttura dell’atomo di idrogeno. Per avere un termine di paragone, la transizione iperfine dell’idrogeno fu osservata da Michelson nel 1881 e spiegata da quel gran genio di Pauli nel 1924, quasi 100 anni fa, e ben 45 anni prima che sbarcassimo sulla Luna.

Ora, se vi ho convinto, il dato più importante: la transizione iperfine dell’atomo di idrogeno dura 0,704 miliardesimi di secondo, ed è su questa quantità di tempo, come vedremo, che si basa l’intero disco d’oro.

Quindi, per ascoltare il disco, cosa può fare il nostro alieno?
Estrae delicatamente la puntina dalla confezione con due delle sue lunghissime dita verdi e la poggia sull’asta di un piatto rotante. Collega la puntina al suo amplificatore preferito e alle sue casse, comprende che quelle stecche orizzontali e verticali che trova incise attorno l’immagine stilizzata del disco vista dall’alto sono una notazione binaria, converte il numero binario in decimale (qui un convertitore https://www.rapidtables.com/convert/number/binary-to-decimal.html se volete provare) e moltiplica il numero ottenuto per la nostra costante temporale (0,704 miliardesimi di secondo), ottenendo la velocità di rotazione: un giro ogni 3,59 secondi!
A questo punto poggia la puntina sul lato esterno del disco (è disegnato in modo che si capisca che la riproduzione debba andare dall’esterno all’interno del disco) e… immaginate l’emozione… può finalmente ascoltare i suoni di un mondo per lui alieno: i saluti in 55 lingue, i rumori degli aerei, le voci delle balene, il rumore del decollo del Saturn V (il razzo che portò l’uomo sulla Luna), musica classica, musica leggera, musica etnica, il rumore del nostro cuore e tante altre piccole cose.
Il tutto per 53,82 palpitanti minuti, numero ottenuto moltiplicando il numero binario scritto sotto l’immagine stilizzata del disco ritratto di lato per la nostra costante di tempo. Ma non è finita qui!

FOTO SU UN DISCO FONOGRAFICO?

Non è finita qui perché quei gran geni della NASA sono riusciti ad inserire nei solchi del “lato B” del disco “audio” anche delle immagini! Il problema è trasformare delle frequenze audio in frequenze video che abbiano determinate caratteristiche. “Ma quali geni?”, obietterà qualcuno, “Non potevano semplicemente inserire nel disco una JPG o una TIFF in codice binario?”. Eh, certo, avrebbero potuto “SE” JPG e TIFF fossero stati standard già esistenti negli anni ’70, “SE” i geni della NASA avessero per qualche strano caso ritenuto che anche su un mondo lontano a decine o centinaia di anni luce da noi si usassero le JPG e le TIFF o “SE”, fattore ancora più stringente, esistessero allora tecnologie in grado di riversare immagini su dischi fonografici. Per fare un esempio, era un tempo, quello, in cui il computer della Voyager poteva contenere solo 69 kilobyte di informazioni, che sono molti di meno del “peso” della pagina che state leggendo…

La velocità di rotazione del disco d'oro delle Voyager

La velocità di rotazione del disco d’oro delle Voyager

La durata dei contenuti nel disco d'oro delle Voyager

La durata dei contenuti nel disco d’oro delle Voyager

L'immagine di test che indica la correttezza del processo di conversione delle immagini contenute nel disco d'oro

Tornando ai nostri geni della NASA, nella parte destra della cover del Golden Record questi hanno inserito tutte le informazioni necessarie a trasformare i dati audio presenti nel disco in immagini. Ora, non ho intenzione di tediarvi sul processo di decodifica, se volete potete farlo da soli (le basi sono le stesse viste finora). Io vi dirò solo che, per essere sicuri che il processo fosse svolto alla perfezione, sulla cover, alla fine delle istruzioni, è incisa la prima immagine presente sul disco, ovvero un rettangolo con un cerchio all’interno (si veda l’immagine a lato). Questo per indicare ai nostri lontani amici verdi che se fosse apparsa un’immagine diversa (ad esempio, un rettangolo con al centro un’ellisse) ci sarebbe stato qualcosa di sbagliato nel processo di conversione.

Pensate che qualche anno fa, grazie solo ad Excel e qualche riga di codice in un semplice linguaggio di programmazione chiamato Python, un “umano curioso” è riuscito a guardarsi tutte le foto contenute nel disco, ben 116 immagini, di cui una selezione è presente qui https://voyager.jpl.nasa.gov/galleries/images-on-the-golden-record/

DULCIS IN FUNDO… WE ARE HERE!

Ed eccoci all’aspetto più controverso, ovvero “dove siamo”! Eh sì, perché sulla cover del disco c’è un sistema infallibile a prova di “stupido alieno” per trovare il nostro sistema solare ed il nostro pianeta.
Nel tempo, molti si sono chiesti se fosse assolutamente necessario dire a qualche civiltà extraterrestre dalle intenzioni magari bellicose dove potesse venire a trovarci, ma credetemi, è una falsa polemica ed una paura non giustificata. Mi preoccuperei infatti di ben altro, ad esempio del fatto che abbiamo inventato la radio e la televisione ben prima di lanciare le Voyager. Ciò significa che ci siamo resi ben visibili (ed udibili) a possibili ascoltatori nelle nostre vicinanze, diciamo entro un centinaio di anni luce da noi (la radio ha infatti più o meno cent’anni). Andrebbe poi discusso se, una volta ascoltati e localizzati, questi amici lontani magari “solo” 50 anni luce da noi siano in grado di raggiungerci e in che tempi (alla velocità della luce, che per quanto ne sappiamo è la massima velocità raggiungibile, ci vorrebbero almeno 50 anni).
Ma qui entriamo nel campo della fantascienza, per cui ci fermiamo e continuiamo ad attenerci ai fatti…

L’ultimo diagramma che analizzeremo è quella specie di stella a 14 punte che si trova in basso nella cover.
Si vede un punto centrale da cui si dipartono 14 righe di diversa lunghezza, ognuna con un codice binario al di sopra. Questo disegno di una semplicità disarmante è in realtà una complessa mappa tridimensionale dei dintorni del sistema solare, opera di un genio dell’astronomia quale Frank Drake e di un altro genio quale Carl Sagan (e di sua moglie Linda Salzman, artista).
Il punto centrale è il nostro Sole, ed ogni punto alla fine di una linea è una pulsar. Le pulsar sono stelle densissime ed in rapidissima rotazione, quanto resta del nucleo di stelle esplose come supernovae. Per capirci, immaginate un faro su una scogliera. Come molti sapranno, ogni faro ha una sua frequenza di emissione di luce, ovvero il tempo compreso tra due accensioni consecutive della lampada (o, nei vecchi fari, il tempo in cui avviene la rotazione di quest’ultima) sempre fissa e diversa da altri fari. Come questi ultimi, le pulsar hanno la peculiare caratteristica, dovuta alla loro rapida rotazione, di emettere un fascio di radiazioni in una direzione fissa (“collimata” dagli intensi campi magnetici che le caratterizzano) e con una frequenza fissa. Per dare un esempio, la pulsar al centro della nebulosa del Granchio, residuo di una supernova esplosa nel 1054 d.C., emette un “lampo” ogni 33esimo di secondo (o, per dirla in altro modo, 33 lampi in un secondo).

La mappa tridimensionale incisa sul disco d'oro delle Voyager che indica agli alieni come trovare il nostro Sole

La mappa tridimensionale incisa sul disco d’oro delle Voyager che indica agli alieni come trovare il nostro Sole

Con queste premesse, possiamo agevolmente comprendere il diagramma.
La lunghezza di ogni linea è proporzionale alla distanza della pulsar dal punto centrale (il nostro Sole), mentre la sua specifica frequenza è data dal numero binario inciso sulla linea, che come abbiamo imparato a fare oramai ad occhi chiusi (eh, come no…) va trasformato in decimale e moltiplicato per la costante di tempo che abbiamo già visto.
Ma vi ho accennato ad una mappa tridimensionale, mentre il disegno è assolutamente bidimensionale. A renderla tridimensionale ci pensano altre due caratteristiche: la lunga linea orizzontale, senza alcuna tacca se non alla fine, e le tacchette che si trovano in ognuna delle 14 linee Sole-pulsar.

La prima indica la distanza tra il nostro Sole e il centro della galassia (rappresentato dal segno alla fine della linea) e stabilisce anche il piano galattico, il piano cioè in cui giace la maggior parte della massa della nostra Via Lattea, che come saprete è a forma di disco molto schiacciato.
Le tacchette sulle linee Sole-pulsar indicano, in base alla loro distanza dalla fine della linea stessa, quanto lontano dal piano della galassia si trova ogni pulsar. Più il segno di spunta è vicino alla fine della linea, più la pulsar è vicina al piano galattico.
Un geniale disegno in due dimensioni diviene dunque una dettagliata mappa tridimensionale della nostra posizione nella galassia!

Ed ecco quindi che i nostri amici verdi si troveranno per le mani tutta una serie di informazioni “sensibili” su di noi: conoscono la nostra posizione, sanno come siamo fatti (gli abbiamo dato le foto), possono approfondire il nostro modo di comunicare e magari provare a comprenderlo… insomma, devono solo fare le valigie e venire a trovarci.

E voi, cosa fareste ve vi trovaste per le mani un messaggio simile proveniente da un altro mondo?