Tra i costituenti della materia, i neutrini fanno parte della famiglia dei leptoni, che si divide in due grandi gruppi: quello dei leptoni carichi (a cui appartiene l’elettrone) e quello dei leptoni neutri (a cui appartengono i neutrini).
L’interesse che caratterizza lo studio dei neutrini sta in alcune loro peculiarità, la più nota delle quali è senza dubbio la difficoltà nella determinazione della massa, la quale, per quanto piccolissima (vicina al limite della misurabilità) sembra essere non nulla, anche se fino a poco tempo fa era ritenuta esattamente nulla; questa caratteristica, come vedremo, potrebbe avere non poche influenze sulla concezione dell’universo che i fisici si vanno formando. Se la massa del neutrino fosse confermata, infatti, potrebbe sconvolgere sia le teorie che riguardano le forze fondamentali che quelle concernenti il futuro dell’universo, in quanto i neutrini darebbero un contributo non trascurabile ad uno dei problemi irrisolti della cosmologia moderna: il problema della massa mancante.
Altre stranezze che hanno contribuito, col tempo, a stuzzicare la curiosità degli studiosi, stanno nel fatto che i neutrini che dovrebbero provenire dal Sole (in base ai modelli delle reazioni termonucleari che gli studiosi di fisica hanno messo a punto) sembrano essere molti meno di quanto ci si aspetti (circa la metà!). La misura di questo deficit è un ulteriore importante traguardo raggiunto dalla ricerca italiana, grazie all’esperimento GALLEX svolto nei laboratori del Gran Sasso.
Il fatto che i neutrini in pratica non interagiscano con la materia dà ai fisici ben pochi appigli per cercare di studiarli. Basti pensare che un fascio di neutrini potrebbe attraversare quasi del tutto indenne una lastra di piombo di 1 anno luce di spessore (1 a.l. = 9.460 miliardi di km). Bisogna quindi cercare un modo di smascherare la loro presenza o, quantomeno, il loro passaggio: ogni secondo, infatti, circa 60 miliardi di neutrini attraversano 1 cm2 di superficie terrestre.
Questi, infatti, producono, interagendo con l’atmosfera, neutrini secondo una ben precisa catena di reazioni: un raggio cosmico (di solito un protone, ma non solo) colpisce un nucleo atmosferico producendo una pioggia di particelle note ai fisici come pioni, le quali decadono in muone + neutrino muonico: il muone, a sua volta, decade in 1 elettrone + 1 neutrino elettronico + 1 neutrino muonico. A questo punto, conoscendo il numero di raggi cosmici che colpiscono l’atmosfera in un secondo e la quantità di pioni e muoni che si formano, si può stimare il numero di neutrini che si dovrebbero osservare e confrontarli con quelli effettivamente osservati.
Seguendo la schematica catena di reazioni vista su, quindi, si dovrebbero osservare 2 neutrini muonici per ogni neutrino elettronico. Contando per mesi i neutrini che generavano risposte nei rivelatori, al Kamiokande hanno scoperto un rapporto tra neutrini muonici ed elettronici di 1,3:1, e non di 2:1. Già questo fatto potrebbe far pensare ad una “crisi di identità” del neutrino, che si trasforma da un “sapore” all’altro (precisamente, da neutrino muonico a neutrino tau).
Inoltre, alcune considerazioni sulla geometria di queste collisioni fanno ritenere che il numero di neutrini che si osservano provenire “da sopra” il laboratorio e quelli che si osservano provenire “da sotto” il laboratorio (ricordiamo che i neutrini attraversano tutto il pianeta senza minimamente risentirne, e quindi è possibile osservare neutrini prodotti dalle interazioni tra raggi cosmici ed atmosfera “dall’altra parte del mondo”) dovrebbe essere all’incirca uguale (rapporto 1:1). Invece, il SK ha osservato un numero di neutrini muonici provenienti dall’altro lato del globo (quindi dal basso) pari alla metà di quelli provenienti dall’alto: è questa un’altra indicazione della già citata “crisi di identità” del neutrino: sembra, infatti, che la probabilità di osservare l’uno o l’altro sapore dipenda dalla distanza che queste particelle percorrono dal momento della loro formazione.
In Giappone è stato utilizzato un acceleratore di particelle denominato KEK, che si trova a circa 250 km dal rivelatore Superkamiokande. Questo acceleratore è in grado di “sparare” verso il SK un fascio di neutrini muonici con energia e direzione conosciute. Per controllare i risultati dell’esperimento è stato posto, nelle immediate vicinanze di questo acceleratore, un rivelatore simile a quello del Sk. In questo modo il fascio è intercettato sia quando è appena partito che quando arriva al SK; eventuali differenze sarebbero la prova di un’oscillazione dei neutrini. Ebbene, dopo un anno di “fuoco”, mancano all’appello circa il 30% dei neutrini muonici attesi.
Questo risultato sembra confermare la trasformazione da un tipo di neutrino (il muonico) ad un altro (il tauonico) durante il tragitto; l’oscillazione del neutrino muonico, o se preferite la sua “crisi d’identità” è, però, un meccanismo che può esistere solo ammettendo che questa eterea particella sia dotata di una seppur minima massa, ricavabile dalla misura esatta dell’entità dell’oscillazione. Valutazioni del tutto preliminari indicano una massa per il neutrino compresa tra 0,03 e 0,1 eV. E questa è un’altra “stranezza” della fisica: misurare una massa non in multipli di grammo, ma in multipli di carica energetica. Non è tanto strano, però, se si pensa alla teoria della relatività, vicina al suo centesimo compleanno: la formula E=mc2 sancisce, infatti, l’equivalenza tra massa ed energia. Per avere un termine di paragone, che la massa del piccolo elettrone è all’incirca dieci milioni di volte maggiore!
Ovviamente, questi esperimenti non mettono la parola fine alla questione, ma aprono una strada che sarà battuta negli anni a venire da altri esperimenti, sempre più potenti e sempre più sensibili, al fine di chiarire al meglio la dinamica dell’oscillazione, la sua frequenza e calcolare più precisamente la massa di una delle più elusive tra le particelle elementari, il neutrino.